Cinghiale - Bioparco

Vai ai contenuti

Cinghiale

Fauna > Ungulati
Cinghiale (Sus scrofa)
 
Le popolazioni di cinghiale, unico Suide presente nel Parco e nella penisola italiana, si sono originate da ecotipi mediterranei originari del nostro paese (cinghiale maremmano e cinghiale sardo, considerato una vera e propria sottospecie, Sus scrofa meridionalis), ibridatisi nel corso dei secoli, ma soprattutto a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, con individui provenienti dalla popolazione centro europea (introdotti massicciamente per scopi di caccia dalle associazioni venatorie, ma anche da varie amministrazioni regionali e provinciali) e con maiali. Il risultato sono animali di dimensioni mediamente maggiori, rispetto a quelle riportate per gli ecotipi di cui sopra (peso in certi casi che supera i 100 kg per i maschi e che si avvicina a tale limite anche per alcune femmine), e soprattutto più prolifici (anche se è stato osservato un certo adattamento fisiologico, con produttività ridotta, alle condizioni trofiche più limitanti della nostra penisola rispetto a quelle presenti nei querceti centro europei, ambienti di elezione del cinghiale).
 
Il cinghiale è un erbivoro monogastrico (ovvero con uno stomaco formato da un’unica camera, a differenza dei Cervidi e dei Bovidi che sono ruminanti ed hanno lo stomaco diviso in quattro parti) e la sua dieta è per l’80-90% composta da vegetali (frutti, radici, tuberi, apici vegetativi, graminacee, prodotti agricoli) e per il restante 10-20% da animali (invertebrati, piccoli Mammiferi e Uccelli, che contatta nella sua attività di grufolamento; carcasse che ricerca ed utilizza attivamente). Gli ambienti frequentati vanno dai boschi di latifoglie fruttificanti (querceti in particolare, ma anche castagneti e faggete, in certi periodi dell’anno), fino ai pascoli, anche a quote elevate (su Alpi e Appennini, aree di “aratura” si riscontrano anche al di sopra dei 2000 metri in estate), passando per cespugliate e aree a macchia mediterranea, zone umide con scarsa presenza arborea, agro ecosistemi estensivi ed intensivi. L’importante è la presenza di acque superficiali accessibili (torrenti, stagni, acquitrini o semplici zone di risalita idrica), necessarie per l’attività di pulizia del mantello e per la termo regolazione estiva. Fattori limitanti, nella dinamica della popolazione del suide, non sono come si potrebbe pensare i predatori (lupo e uomo), ma le risorse trofiche e la possibilità di accedervi. Di fatto le mortalità maggiori si hanno in estate, negli ambienti mediterranei, ed in inverno, nelle zone montane, per le difficoltà a mettere in atto l’attività di grufolamento (per il terreno secco o ricoperto da neve); inoltre crescite e crolli demografici risultano strettamente correlati alle annate di “pasciona”, ovvero di iperproduzione di determinati prodotti del bosco e del sottobosco (ghiande, castagne, faggiole o bacche e frutti). Una dinamica di questo tipo, che può prevedere anche andamenti “esponenziali” legati ad aumenti repentini della produttività delle popolazioni, rende la specie difficilmente gestibile con l’attività venatoria e la colloca ai primi posti per impatto sulle attività umane, agricole in particolare ma anche “sociali” visto il grande avvicinamento alle aree urbane operato dalla specie negli ultimi venti anni in Italia ed in Europa, per sfruttare i nostri rifiuti.
 
Il cinghiale è una specie estremamente gregaria, la struttura sociale di base è l’ ”asilo nido”, branchi di decine di individui dove gli “striati”, ovvero gli esemplari con meno di un anno di età, vengono attivamente ed efficacemente difesi da gruppi gerarchizzati di femmine, loro madri e loro sorelle, guidati dalle scrofe più anziane. Molti altri tipi di gruppi sono stati evidenziati: associazioni di maschi giovani (con età superiore ad un anno), a volte con maschi adulti; piccoli nuclei di maschi adulti; branchi misti durante la stagione riproduttiva (che cade a novembre-dicembre); coppie formate da un “verro” e un maschio più giovane; maschi maturi solitari. I parti cadono una volta all’anno, generalmente in primavera (marzo-aprile) ed ogni femmina adulta può dare alla luce da 4 a più di 10 striati. La destrutturazione delle popolazioni dovuta alla caccia collettiva e non selettiva, tradizionalmente operata in “braccata”, porta però all’abbattimento degli adulti riproduttori, facendo sì che molte femmine sub adulte, sessualmente ma non socialmente mature, possano riprodursi al di fuori della stagione riproduttiva “ufficiale” e dare luogo a parti anche in altri periodi dell’anno.
 
A livello italiano c’è una grande incertezza circa la reale consistenza della popolazione di cinghiale, in quanto la specie è difficilmente censibile e le stime si basano esclusivamente sulle statistiche di abbattimento, affette da molti problemi di precisione ed accuratezza: si parla di circa 600.000 capi, che potrebbero essere però molti di più. La specie è distribuita da nord a sud in modo continuo, gli unici ambiti in cui essa non è ancora stabilizzata sono la Pianura Padana e le regioni alpine orientali, oltre, in parte, alle coste adriatiche, alla Sicilia ed alla Puglia, ma la saturazione dell’areale disponibile avverrà con tutta probabilità entro pochi anni. Interessante sottolineare come il cinghiale sia stato introdotto in alcune isole minori (Elba e Asinara, le più grandi, ma anche Caprera e Spargi) dove la sua presenza può avere un triplice impatto: economico, sociale e sulla fragile biodiversità locale.
 
Il cinghiale nel Parco Regionale delle Alpi Apuane
L’origine del cinghiale sulle Alpi Apuane va fatta risalire ad immissioni per scopi venatori effettuate a partire dalla fine degli anni ’70. Attualmente, come è immaginabile, il cinghiale è distribuito su tutta la catena montuosa, ma, sulla base delle stime demografiche prodotte in questi ultimi anni, a basse densità. La popolazione di cinghiale nel Parco è stata censita per la prima volta nel 2012, poi dal 2015 al 2018 con la tecnica del video-trappolaggio su siti di “governa”, ovvero su siti in cui i nuclei del suide presenti vengono abituati per un arco temporale di 7-10 giorni, a nutrirsi di mais appositamente collocato in loco. Le estrapolazioni effettuate ci mostrano al 2018 una popolazione di circa 800 capi (con densità di circa 4 capi/km2) ed un andamento tipicamente “oscillante” delle consistenze nel corso degli anni di monitoraggio. Va sottolineato come questa stima sia riferita ai 200 km2 di area Parco, ambito nel quale il conteggio è effettuato, se volessimo estendere le operazioni ai restanti 300 km2 di area contigua avremmo probabilmente valori molto maggiori, in quanto le aree boscate più “gradite” alla specie (querceti e castagneti) sono più rappresentate al di fuori dei confini del Parco.



Il cinghiale è una specie che deve essere certamente sottoposta ad un monitoraggio demografico continuo, visto l’impatto che può creare sulle attività umane. L’ente Parco ha optato per una politica di prevenzione e coesistenza, dotando le poche aziende agricole presenti entro i suoi confini di recinzioni elettrificate: in questo modo le denunce per danni nel corso degli anni sono rimaste ad un livello estremamente contenuto. Nonostante ciò è stato rilevato come il cinghiale possa causare danni difficilmente quantificabili su determinati habitat di interesse comunitario (come le praterie secondarie d’altitudine) o su opere umane come i sentieri e le mulattiere storiche che costituiscono importanti arterie di comunicazione per il territorio apuano ed un patrimonio culturale che va sicuramente tutelato. Per questo sono previsti protocolli specifici di rilevamento danni “puntiformi”, che eventualmente possono portare alla messa in atto di sistemi di dissuasione (secondo i Piani di Gestione della fauna dal 2012 in poi).


Torna ai contenuti